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13 ottobre 2010

Per un nuovo Rinascimento culturale dell’Italia

di Valerio De Molli, Managing Partner, The European House-Ambrosetti

 

Appare indubbio che, con l'avvento della crisi economica globale iniziata con il fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008, il settore della cultura - in Europa spesso molto dipendente dai sussidi dello Stato e proveniente da anni di cronico sottofinanziamento - è stato uno dei comparti che hanno risentito maggiormente degli effetti legati alla ridotta disponibilità di risorse finanziarie sia pubbliche che private.

A monte, sono opportune alcune considerazioni. Forse non è chiaro a tutti che le attività culturali dovrebbero essere interpretate più come una risorsa economica che come un costo. La prima a rendersi conto dell'importanza strategica di tale settore è stata l'Unione Europea stessa, che nel maggio 2007 ha lanciato un'Agenda per la Cultura fondata sulla promozione di tre aree: la diversità culturale e il dialogo interculturale, la cultura come catalizzatore della creatività e la cultura come elemento essenziale nelle relazioni internazionali dell'Europa.

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13 settembre 2010

Oltre la Facebook Fan Page: 10 esempi di tecnologie digitali applicate al settore della cultura

di Massimiliano Magrini, Founder, Annapurna Ventures

 

Nel mondo oltre 2 miliardi di persone sono online (di cui 22 milioni in Italia). Grazie ad una rapida serie di discontinuità tecnologiche, Internet è diventato in tempi relativamente brevi uno dei principali canali di informazione, comunicazione, distribuzione e socializzazione.

Nel mio lavoro ho avuto la fortuna di assistere in prima persona all’emergere di molte delle tendenze attuali in ambito digitale – dall’avvento dei social network all’esplosione della mobile Internet – e l’esperienza mi ha insegnato che non esistono settori immuni dalla spinta innovativa che ne è alla base.

In questo contesto, il settore della cultura si trova oggi a disporre di una vasta gamma di strumenti e tecnologie che aprono nuove opportunità di comunicazione. Desidero soffermarmi brevemente su alcune delle istituzioni che hanno saputo cogliere al meglio questi spunti, creando casi di successo ed aprendo la strada agli sviluppi futuri.

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30 luglio 2010

Ulteriori evidenze dalla survey condotta da SWG per Florens 2010

Presentiamo alcuni estratti del sondaggio condotto per Florens 2010 da The European House-Ambrosetti e SWG su un campione rappresentativo della popolazione italiana stratificata per sesso, età, livello di educazione e Regione di residenza. Le interviste al campione di 4.000 individui sono state effettuate nel mese di Giugno 2010.

L’offerta culturale è mediamente soddisfacente, meno per i giovani.

Quasi il 70% degli italiani giudica positivamente gli eventi culturali che avvengono nella propria provincia di residenza. La massima soddisfazione si registra in Emilia Romagna (l’83% degli intervistati dichiara interesse per gli eventi). Solo il 53% circa dei cittadini dell’Abruzzo giudica invece interessante l’offerta culturale del proprio territorio.

Quasi il 40% dei giovani in età compresa tra i 18 e i 24 anni trova poco o per niente interessanti gli eventi culturali che avvengono nella propria città/provincia /regione di residenza. Il potenziamento dell’attrattività verso le fasce più giovani della popolazione rappresenta certamente un’area di miglioramento per i promotori di eventi culturali, a tutti i livelli.

Aspettative sulla spesa per consumi culturali

Guardando al futuro, il 30% degli italiani prevede che la spesa per i “consumi culturali” aumenterà nei prossimi 5 anni. Tale percentuale sale al 43% circa tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni e si attesta al 50% nei giovani in età compresa tra i 18 e i 24 anni.

Dunque i giovani prevedono di destinare alla cultura una quota crescente del proprio budget.
Il che può essere interpretato sia come aspettativa di incrementare il proprio budget complessivo, sia come determinazione di destinare una quota percentuale crescente di questo budget ai consumi culturali.

Naturalmente, affinché questa enunciazione di principio si realizzi, occorre allineare maggiormente l’offerta culturale ai linguaggi, agli strumenti, ai tempi e ai gusti dei giovani.

Cultura e tecnologie

Internet è il mezzo di informazione principale per reperire informazioni sugli eventi culturali. Infatti, oltre la metà degli italiani dichiara di cercare informazioni relative a eventi culturali sui siti internet delle città/regioni, o sui siti internet dei musei, mostre ecc..

Meno del 20% degli italiani utilizza le brochure degli uffici turistici, circa il 15% cerca informazioni sulle pagine pubblicitarie dei giornali e circa il 10% direttamente nella struttura dove si svolge l’evento.

L’analisi per fasce di età evidenzia come i blog siano utilizzati maggiormente dai giovani, mentre i cittadini con più di 64 anni tendono a recarsi presso uffici turistici o agenzie di viaggio.
Tuttavia, se internet è risultato il mezzo più utilizzato per reperire informazioni, per pagare la biglietteria rimane lo strumento più utilizzato. Ciò non sorprende, visto che in generale in Italia l’utilizzo dei mezzi di pagamento elettronici è inferiore agli altri Paesi.

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21 luglio 2010

Francesco Alberoni - l’evoluzione del mecenatismo in Italia dal dopoguerra ad oggi

Francesco Alberoni, nella sua rubrica pubblico-privato (Corriere della Sera, 19 luglio 2010), fornisce una chiave di lettura interessante per spiegare l’evoluzione del mecenatismo in Italia dal dopoguerra ad oggi.

Nei decenni del cosiddetto boom economico l’industria era il vero motore di sviluppo della ricchezza e l’industriale “illuminato” condivideva parte della propria ricchezza con l’ambiente circostante, attraverso opere di mecenatismo i cui frutti sono a tutt’oggi tangibili in molte parti del Paese.

Negli anni più recenti, osserva Alberoni, la ricchezza si raggiunge essenzialmente attraverso la finanza e lo show-business (spettacolo, sport, ecc.). Spesso si tratta di ricchezza esplosa in tempi rapidi, che nasce sui bit e sulle competenze “soft”, che vive sulla velocità e sull’effimero.
Il nuovo business globale, polverizzato e delocalizzato, diluisce quel legame impresa-territorio che tanto è stato determinante ai fini dello sviluppo del mecenatismo negli anni ’50 e ’60.
Le imprese oggi sono gestite da manager che non coltivano legami stabili con il territorio di riferimento, poiché la natura dei loro incarichi professionali li porta ad essere “randagi”.

Tutto ciò è ragionevole e riscontrabile senza difficoltà agli occhi di un osservatore attento. Tuttavia, alcune domande appaiono fondate:
non dovrebbe essere desiderio di chi accumula ricchezza rapidamente investire in cultura per lasciare una testimonianza tangibile del proprio operato?
in un’economia che è per sua natura sempre più orientata all’intangibile, il mecenatismo non rappresenta un antidoto al rischio di oblio?

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09 luglio 2010

Tagli alla cultura: la cultura ha bisogno di investimenti e non di risparmi, ma di investimenti mirati!


Negli ultimi anni il differenziale tra l’economia dei beni di consumo e l’economia dei beni culturali si è progressivamente ristretto, man mano che si sono fatte strada convinzioni, sempre più fondate, sulla necessità di considerare i beni culturali in un’ottica più vicina al mercato e di dare a essi una gestione manageriale, più efficiente e più rispondente all’esigenza di qualità del servizio da parte dei fruitori.
E’ aumentata nell’intera popolazione italiana la consapevolezza di mettere un po’ d’ordine nell’immenso patrimonio culturale, che abbiamo per decenni mantenuto così male e valorizzato così poco. Gli enti che si occupano del problema si sono rinnovati sul piano giuridico- istituzionale al fine di individuare nuove formule e meccanismi che aiutino a recuperare/acquisire autonomia e responsabilizzazione, più efficienza nell’uso delle risorse e maggiore efficacia nella soddisfazione della missione istituzionale.
I beni culturali, i prodotti artistici, i servizi dello spettacolo forse non rappresentano, come reddito e occupazione, una quota di giro d’affari complessivo pari a quello dei grandi settori industriali, ma indubbiamente – insieme anche al loro indotto – producono effetti molto rilevanti sulle dinamiche sociali. Diventa quindi indispensabile una visione di maggiore compenetrazione dei mondi della cultura e dell’economia e ciò richiede un confronto aperto e senza tabù.
E’ persino banale sottolineare il peso dell’economia e del management nel settore della cultura. E’ infatti proprio grazie all’accorto uso delle risorse economiche – specialmente in questo periodo di welfare declinante e di ricerca forsennata di fonti finanziarie per la spesa pubblica - che alcuni processi culturali o di intrattenimento riescono a realizzarsi, rendendo disponibili più mostre, più film, più rappresentazioni teatrali.
Ciò nonostante il concetto, legittimo e da preservare, che l’arte sia bene di merito e che pertanto non si debba piegare solo alle leggi del mercato, ha perpetuato per molto tempo il valore della  unaccountability della cultura, e cioè dell’assenza di vincoli che costringesse i soggetti a rendere conto del proprio operato.

Questa carenza di sensibilità economica ha accumunato il fronte intellettuale e i conservatori più irriducibili, i quali hanno sollevato sempre gli scudi ogni qualvolta ci fosse una richiesta di maggiore efficienza e di minori sprechi. Tale impostazione ha finito per tramandare per decenni settori culturali e di spettacolo condotti con molta ingegnosità, ma con finalità semplicemente di sopravvivenza, spesso minimizzando gli introiti per produrre – nonostante e difficoltà finanziarie – il meglio possibile.
Sul valore intrinseco della cultura e intorno alla questione della necessaria “inutilità dell’arte” sono corsi fiumi di inchiostro, come recentemente nel libro Art for Art’s Sake del direttore del Barbican Center di Londra, John Chooser. L’attuale polemica sui tagli che la manovra economica ha prodotto sugli enti culturali potrebbe essere utile ad avviare un bel dibattito su come le risorse pubbliche debbano essere virtuosamente allocate. Il problema non è se alcune istituzioni poco utili e efficienti debbano essere poco finanziate (ciò sembra evidente, in un momento storico in cui lo Stato non ha mezzi per comperare le lavagne nelle scuole elementari o per riassortire le gazzelle della Polizia Stradale); il problema invece sta nello strumento con cui si misura l’utilità e la ricaduta culturale,
sociale e economica dell’istituzione che viene finanziata. Forse la famosa lista delle 272 istituzioni culturali che sembrava che il Governo volesse abolire dovrebbe ripartire da lì.

 


Severino Salvemini
Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale e Direttore del Corso di Laurea in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione e Università Bocconi
Membro del Consiglio Scientifico, Florens 2010

 

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07 giugno 2010

Il sondaggio condotto da SWG per Florens 2010 rivela risultati interessanti

Un primo elemento che può essere oggetto di un dibattito stimolante è la risposta alla domanda: “Come prevede sarà la sua spesa per i consumi culturali (teatri, mostre, visite a musei, parchi e riserve, ecc.) nei prossimi 5 anni?” oltre il 30% degli italiani ha risposto che la spesa aumenterà e il 55% circa ha dichiarato che rimarrà invariata. Solo il 10% ha affermato che ridurrà, nei prossimi 5 anni, la spesa per attività culturali.

Dunque i cittadini “battono” le aspettative e, nonostante la crisi, identificano nel consumo culturale una stella polare per il futuro. Tanta lungimiranza merita certamente una risposta adeguata. Florens 2010 si candida per favorire la discussione in tal senso ...

Con riferimento invece agli elementi negativi, che scoraggiano la partecipazione ad attività culturali, gli italiani collocano al primo posto il prezzo elevato. Per il 60% dei cittadini, infatti, il prezzo elevato è il fattore più disincentivante.
Altri fattori che scoraggiano la partecipazione ad attività culturali sono le code all’ingresso (40%) e la difficoltà nei trasporti o nel trovare un parcheggio nelle vicinanze della meta della propria visita (37%).

Dunque, a fattori controllati direttamente dai soggetti che offrono attività culturali (prezzo, gestione degli ingressi, ecc.) si accostano elementi di carattere più generale, legati alla ricettività e alla fruibilità delle città e dei territori.

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